Monade
In fondo, chi si sente poeta o viene detto poeta, avverte – prima o poi, ma anche durante – la stessa, identica solitudine che è il filo conduttore di questa nuova silloge poetica di Edvige Gioia. E identificarsi con una insula, sola non per voler suo, e sentirsi costantemente in balia delle necessità e degli umori del mare, e dunque aprirsi al dialogo con se stessi, ripercorrere la vita trascorsa e puntellarne le significanze è Scelta per dirsi che nel mondo non si è semplicemente passati, ma che segno di noi è stato lasciato: in quel che abbiamo amato e in quello in cui abbiamo creduto, e dunque fedelmente professato. Nei versi si accolgono pertanto, a mo’ di confessione ma anche di lettera ad posteritatem (per nulla vano il riferimento a Petrarca), le riflessioni della maturità su “quanto” la vita abbia offerto e su “quanto” di ciò sia restato a lei donna/figlia/madre rispetto a “quanto” invece le sia stato dato come “poeta”. Sì, perché – alla fine dei conti – è il poeta quello più esigente, è quell’animo che pretende ragione rispetto all’attuale letargia, al tutto scorrere senza sentirsene più
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